Ricapitolando di Roberto Gramiccia

Venti anni è un sacco di tempo. Ma anche no. A volte ti sembra di aver fatto una cosa ieri. E invece l’hai fatta vent’anni prima. Ecco, questa è la sensazione che io avverto a proposito dello scadere, proprio in questi giorni, di questi miei venti anni di attività curatoriale. Decine e decine di mostre pensate, curate, spesso organizzate in prima persona, mentre facevo il medico, facevo politica, scrivevo libri e articoli su Liberazione , mentre facevo cose buone ma anche meno buone. Come capita a tutti, perché la vita è così, mischia il bene e il male, il brutto e il bello e non c’è verso di tenerli divisi. Mi sono accorto quasi per caso di questo “anniversario” nel momento in cui mi veniva proposto di partecipare a Rome Art Week. Una settimana per l’arte contemporanea a Roma: quale migliore occasione per esporre una selezione di opere di un gruppo fra i tanti artisti che seguo da anni nell’area romana? Poi…: un attimo di riflessione, uno sguardo all’indietro, al passato prossimo e a quello remoto, e mi sono reso conto che la mia prima mostra risaliva al 1996: esattamente 20 anni. Ho fatto un salto sulla sedia perché non lo avrei mai creduto. Sono stato assalito da un mix di sentimenti contrastanti, con dentro la soddisfazione di tanti progetti realizzati – grandi e piccoli – ma anche l’angoscia del tempo che passa, con la cruda consapevolezza di averne molto meno davanti a me. Come al solito, la presa d’atto di una fragilità, la consapevolezza di un limite insuperabile: meno tempo a disposizione, meno cose che puoi fare. Ma, a dimostrazione di quello che penso sulla vulnerabilità, dalla quale nessuno veramente si affranca, che ho cercato di raccontare in un libretto uscito in questi giorni e che si intitola Elogio della Fragilità (Mimesis), ho reagito nell’unico modo possibile. Invece di frignare e piangermi addosso: ho deciso di organizzare una bella festa per celebrare questi anni, invitando ad una mostra ricapitolatrice tutti gli artisti con i quali ho lavorato in questo lungo lasso di tempo. Nessuno mi ha detto di no, qualcuno non ci sarà perché non ha risposto all’invito o aveva altre cose da fare. Ma si tratta di sparute eccezioni. Gli altri ci sono tutti. E io ne sono orgoglioso e li ringrazio. Anzi ci sarà anche qualche preziosa new entry. Di questa cosa sono orgoglioso perché significa che persino Ricapitolando 1996-2016, in un momento che dovrebbe essere di rendiconto, è un ponte verso il futuro, verso nuove collaborazioni e avventure. Questa circostanza nella mia mente e anche, spero, in quella degli artisti che hanno aderito per lo più entusiasti, è anche un modo per spingere in avanti, proprio in un momento difficile, quella scommessa che in questi anni ha conosciuto qualche sconfitta ma anche numerose vittorie. Allora, contro la crisi, contro i vincoli del mercato, contro le mode omologanti, contro l’appiattimento verso il basso, contro il pensiero unico degli affaristi, noi oggi ri-lanciamo la nostra sfida! Lo facciamo autoproducendo – con l’aiuto sostanziale dell’Associazione Plus Arte Puls che ringraziamo con tutto il cuore – una mostra che aspira a presentare gli esiti di una ricerca plurale. Fatta di linguaggi, tecniche, progetti diversi ma che ritrova un minimo comune denominatore fra tutti gli artisti che oggi espongono insieme: la consapevolezza del valore della qualità, il “valore del valore” per usare un gioco di parole. Questa a prima vista sembra un’ovvietà. E invece non lo è per niente. Viviamo un tempo, infatti, in cui l’unica cosa ad essere apprezzata è il denaro. Il rapporto si è invertito, cioè, non sono più le opere importanti ad avere un costo elevato in quanto importanti, sono le opere a cui viene attribuito un costo elevato, a prescindere spesso dalla qualità, ad essere considerate importanti. I prezzi di aggiudicazione d’asta si sostituiscono a qualsiasi ragionamento sulla effettiva qualità delle opere, alla storia di esse, al loro vissuto. A noi questa cosa non piace. Come non ci piace che il denaro sia l’unico metro di giudizio, l’unico termine di paragone. Come non ci piace pensare che tutto succeda perché dietro c’è un calcolo economico. Non è così! Nel tempo in cui il dispotismo della forma merce imperversa, in questa circostanza e nel nostro piccolo, noi proviamo a dimostrare che si possono attivare buone pratiche senza nessuna particolare aspettativa di guadagno. Un impegno che assolviamo con l’augurio che il mercato ridiventi una variabile importante, come è sempre stata, ma subordinata ai vincoli della necessità e della qualità, e la speranza che cessi di recitare la parte del mostro che tutto vampirizza. Naturalmente l’augurio non prescinde dalla consapevolezza che molto dipenderà dalla nostra capacità di opporci allo stato di cose presenti. Vi chiederete perché in questo breve testo non faccio nomi; non cito gli artisti e le mostre realizzate in questi venti anni. La risposta e facile. Le mostre sono troppe per essere citate tutte. Gli artisti sono molti di più. E io non voglio scegliere fra ricordi e persone stilando gerarchie. Nel catalogo on line della mostra verrà riportato l’elenco degli eventi di questo ventennio. Tutti sullo stesso piano. Non per fare sfoggio di un settario egualitarismo fuori tempo, ma perché uno solo è il filo rosso che ha unito queste mie fatiche. Nell’arte, come nella pratica medica, come in quella editoriale e politica: quello dell’impegno di chi si ostina ad essere e a comportarsi, irriducibilmente, come un libero pensatore critico. È una cosa all’antica? Forse, ma a me piace così.